HANNOVER\ aise\ - Le radici dell’Unione Europea e il suo futuro, le politiche
regionali e la previsione di una "cittadinanza europea", il
Trattato di Roma e le mancate ratifiche. Di questo ha parlato Franco
Narducci, deputato della Margherita eletto in Europa, che, in occasione della
terza edizione del "Giorno italiano" tenutosi ad Hannover il 2 di
giugno, è stato intervistato dal Presidente del Comites Giuseppe Scigliano.
Di seguito il testo integrale dell’intervista.
"D. Uno dei punti caldi del dibattito sull’Europa, soprattutto in
questi ultimi anni, verte sulla sua identità. Cosa pensa Lei al riguardo?
R. Penso che in passato l'Europa ha prestato poca attenzione alla
ricerca della sua identità forse perché si è sempre identificata con il mondo
intero. Oggi emerge una forte riflessione sull'identità europea ma è
difficile dare una risposta univoca. Vi sono diversi approcci volti a definire
l'Europa come civilizzazione culturale o come entità geopolitica o, ancora,
come una realtà economica ben definita. In occasione della scrittura del
trattato vi è stata poi la grande discussione sulle tradizioni
giudaico-cristiane dell’Europa. Ciò che probabilmente caratterizza l'Europa
più di ogni altra cosa è la sua storia intesa come divenire di popoli, lingue
ed istituzioni, per cui si deve prima di tutto riconoscere che l'Europa
ritrova la sua identità quando decide di negarla e si riscopre "molteplice".
I popoli europei si sentono uniti proprio dalle differenze, ma in una
prospettiva di dialogo. "Unità nella diversità" è il motto scelto
per l'Unione suggerito dagli studenti europei. Allora potremmo definire
l'Europa una "unità molteplice" alla luce di una "identità
differenziale" centrata sul dialogo tra le culture per cui è possibile
sentirsi europei e italiani, europei e francesi, europei e inglesi, europei e
polacchi. Giovanni Paolo II al Sinodo dei Vescovi per l'Europa del 1999 ha detto
che è urgente una cooperazione fraterna in questo periodo storico in cui il
continente sperimenta una nuova fase del processo di integrazione e una sua
forte evoluzione in senso multiculturale e multietnico. E dalle capacità di
orientarsi in questa nuova fase, sapendo articolare la novità che ne può
scaturire, sta il futuro dell'Europa in un progetto che sappia coniugare
identità e pluralità. L'ingresso di nuovi Paesi nell'Unione cambia
continuamente il suo volto, ma non snatura il processo ed il progetto europeo
nella misura in cui vi è una maturazione delle coscienze in questo senso
portando alla creazione di un ethos condiviso. Si tratta di attuare un
progetto dialogico di una Europa autenticamente e liberamente unita e nello
stesso tempo autenticamente e consapevolmente molteplice dove si riescano a
comporre culture e funzioni, territori e comunità senza egemonie o fusioni
nell'ottica della convivialità delle differenze che va oltre la norma, le
regole di cui pure ha bisogno questa nostra nuova patria.
D. Come vede, dal suo osservatorio istituzionale, il ruolo del
Parlamento e del Governo nelle relazioni con l’Unione europea?
R. Occorre anzitutto richiamare la normativa vigente, la legge del 4
febbraio 2005, n. 11, "Norme generali sulla partecipazione dell’Italia
al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione
degli obblighi comunitari", la così detta legge Buttiglione. Tale legge
reca alcune significative innovazioni rispetto alla disciplina precedente. Il
complesso normativo non è rivolto al solo tempestivo adempimento degli
obblighi di derivazione comunitaria, ma disciplina compiutamente, altresì il
procedimento da seguire per la formazione dell’orientamento italiano in vista
dell’adozione degli atti comunitari e dell’Unione europea. La legge
istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il Comitato
interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), con compiti di
coordinamento, il cui compito consiste nell’attivare il dibattito a livello
nazionale in una fase iniziale di elaborazione degli atti comunitari (fase
ascendente), e di propulsione per il recepimento degli atti comunitari
nell’ordinamento interno attraverso il coinvolgimento delle istanze regionali
(nella fase discendente). Il ruolo del governo è fondamentale nella
definizione delle politiche dell’Unione europea, attraverso l’adozione degli
atti comunitari in sede di Consiglio dell’Unione europea o di definizione
delle linee politiche di intervento anche in settori delicati, quali sono
quelli della politica estera e di difesa comune in sede di Consiglio Europeo,
o nella partecipazione alla Conferenze intergovernative, all’interno delle
quali vengono elaborate le proposte di modifica dei trattati esistenti o
elaborati nuovi trattati, come il Trattato costituzionale europeo.
D. Le Regioni italiane, quale ruolo svolgono o come dovrebbero
interpretare il loro ruolo in Europa?
R. "L'Europa delle Regioni" - da più parti auspicata sia in
sede teorica, sia in sede istituzionale e politica - si presenta, tuttora, come
una meta collocata in un futuro incerto. Nel complesso l’Unione europea -
soprattutto tramite la voce della Corte di giustizia ha mostrato una
fondamentale "indifferenza" rispetto al riparto interno delle
competenze tra Stato e Regioni. Tuttavia, le Regioni risentono della
dimensione sovranazionale in cui è entrato lo Stato italiano: alcune
importanti materie devolute alla competenza della Comunità sono al contempo
attribuite alla competenza delle Regioni; la Comunità europea svolge da tempo
alcune azioni mirate nei confronti delle Regioni, dirette a riequilibrare le
condizioni economiche e sociali delle diverse aree geografiche d'Europa,
comunemente note con il nome di "politiche regionali". Si possono
cogliere segni di apertura da parte delle istituzioni comunitarie nei
confronti delle Regioni che vengono direttamente coinvolte in alcune azioni
comunitarie. Ciò è accaduto soprattutto attraverso le politiche regionali e
tramite la partecipazione del Comitato delle Regioni ai processi decisionali
comunitari. Una ulteriore spinta verso l'instaurazione di contatti diretti
tra le Regioni e le istituzioni comunitarie è venuta da parte di alcune
normative interne che ora consentono tali contatti. Particolarmente
significative sono le aperture ai rapporti che direttamente le Regioni
possono intrattenere con le istituzioni comunitarie , grazie alle modifiche
apportate dall'ordinamento italiano a partire dal d.P.R. 31 marzo 1994. Il
legislatore, dopo una iniziale chiusura da parte della Corte costituzionale,
ha dettato una disciplina speciale che consente alle Regioni di aprire uffici
di rappresentanza e di collegamento con le istituzioni comunitarie, anche in
comune con altre regioni ed enti appartenenti all'Unione europea.
D. Da più parti si sollecita un’accelerazione per la cittadinanza
europea. Cosa ne pensa?
R. Potrei dare risposta al quesito richiamando semplicemente l’art.
I-10 del trattato che adotta una Costituzione per l’Europa. Vi è da dire
tuttavia, che nel mondo della globalizzazione le acute tensioni tra coscienza
nazionale e sensibilità muti-culturale si manifestano non solo all'interno
dello Stato in senso classico, ma altresì a livello transnazionale, in
particolare nell'Unione Europea, che è una delle espressioni tra le più
evolute dell'integrazione sovranazionale. Una manifestazione di questa
tensione si coglie nel dibattito sulla Costituzione insorto proprio qui in
Germania tra Peter Häberle e Jurgen Habermas. Se per Häberle l’Europa non può
avere una Costituzione per l’assenza dei prerequisiti tradizionali, ovvero
“un popolo, una società”, giustamente rileva Habermas che il concetto di
popolo non è valido per tutti i tempi e per tutti gli Stati e a maggior
ragione oggi, in un contesto che vede la crisi del classico concetto di
popolo-nazione fondato su una religione, una lingua, una cultura univoca, al
quale subentra una diversa concezione caratterizzata dal pluralismo
linguistico religioso, etnico, culturale. Tale dibattito ha un duplice
aspetto. Alcuni, infatti, considerano la cittadinanza europea come uno dei
risultati di minor fortuna di Maastricht, insignificante e privo di
contenuto, e dunque inconsistente. Atri, al contrario, ritengono la
cittadinanza europea un importante simbolo, che reca in sé un potenziale di
grande portata e, al contempo, è gravido di pericoli.
D. La celebrazione del 50° anniversario del trattato ha riportato in
primo piano il dibattito sulla Costituzione europea: come procedere al suo
rilancio? Quale ruolo vede per L’Italia?
R. A quasi 3 anni dalla solenne firma del Trattato Costituzionale a
Roma e tenuto conto che 18 Stati lo hanno ratificato occorre fare ogni sforzo
necessario per uscire dall’attuale situazione di incertezza e di ambiguità.
Ricordiamo che dopo lo shock susseguito ai referendum francese e olandese, si
è imposta una pausa di riflessione, ma la pausa non può durare in eterno.
Occorre un’Europa che possa affrontare le sfide. Alcuni stimoli importanti
per la ripresa del negoziato sono rappresentati dal Consiglio europeo che si
terrà in questo mese di giugno, dalle nuove regole sulla composizione e il
funzionamento delle istituzioni a seguito dall’ampliamento a 27 Stati membri,
che entreranno in vigore a breve. Una spinta forte verrà anche dalle elezioni
europee del 2009. Al momento sono allo studio alcune proposte per superare lo
stallo del processo di ratifica che prevedono di modificare il testo
esistente aggiungendo o eliminando alcune parti, o di mantenerlo, o di
elaborare una nuova proposta, che nel linguaggio degli addetti ai lavori
vengono identificate come: Nizza plus, Trattato costituzionale così com’è,
Trattato Costituzionale plus, Trattato Costituzionale minus. Sul piano
strategico, occorre partire ancora una volta dalla Francia. Occorre
recuperare la Francia per avere un gruppo di maggioranza qualificata, che
avrà il compito di condizionare i partner più riluttanti (Olanda, Polonia,
Repubblica Ceca e GB). L’obiettivo è quello di elaborare una nuova versione
del Trattato. Per l’Italia due compiti: adottare una propria proposta alla
vigilia dell’apertura del negoziato; svolgere un ruolo alto di
"Koalition Bildung", agendo sull’asse Parigi - Berlino". (aise)
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